venerdì 12 giugno 2009

Tradizione Culinaria: Liquori e Ammazzacaffè.


I pranzi e le cene napoletane più abbondanti terminano con caffè e liquore. Per i liquori,come per il Ragù, vale la regola della ricetta segreta per ogni famiglia. Sulle tavole dei napoletani per alleggerire il pranzo arrivano limoncelli, nocilli, liquori di basilico o liquirizia, tutti confezionati in casa. Nessun napoletano si alza da tavola senza un buon caffè, a cui talvolta si aggiunge una "presa" di anice, una goccia di anice o sambuca.
Nella Terra delle Sirene esiste una squisitissima produzione di liquori, infusi e rosoli tipicamente locali. Oltre al celebre Limoncello, infatti, e' possibile assaggiare anche il Nocillo, il Fragolino ed il Finocchietto. Tra i prodotti tipici locali di Sorrento e della sua Penisola, il limoncello è sicuramente la bevanda alcolica più conosciuta ed apprezzate.
Eppure quello che oggi viene considerato come una sorta di "principe" dei digestivi è soltanto è il più celebre dei rosoli, degli infusi e dei liquori che vengono prodotti nella Terra delle Sirene fin da epoche remote.
Nei secoli scorsi, infatti, in ogni famiglia della Costiera, l’ ospitalità veniva tangibilmente manifestata con l’ offerta di una grande varietà di liquori tutti, però, prodotti secondo antiche ricette gelosamente tramandate di generazione in generazione.
Una tradizione che continua in Campania dall'epoca dei monsù, gli chef francesi che le famiglie nobili napoletane facevano arrivare d'Oltralpe.Lì i liquoristi di Luigi XIV avevano creato per il re un liquore che lo allontanasse dalla malinconia, il rosolio appunto.
Una fortuna per il re… e per noi!

Tradizione Culinaria: il caffè.



“Ma cu sti mode, oje Bríggeta, ‘na tazza 'e café parite: sotto tenite 'o zzuccaro, e 'ncoppa, amara site!”
(‘A tazza ‘e cafè –Canzone popolare napoletana)
Un vero e proprio rituale quello del digestivo napoletano. Caffè e liquori (detti ammazzacaffè) arricchiscono con prodotti di qualità e varietà di preparazione la tradizione culinaria partenopea.
Gran parte dei Napoletani ritiene che il caffè partenopeo sia unico per aroma e densità. Molte leggende metropolitane cercano di avvalorare quest'affermazione in base a vari motivi, che vanno dall'acqua del Serino, al tipo di miscela, alla calibrazione della macchina, o, più semplicemente, all'abilità dei baristi napoletani. Per un napoletano ogni momento è buono per un caffé: se si indagasse a fondo la storia di questa città e dei suoi abitanti, certamente si scoprirebbe che molte decisioni fondamentali siano state prese in piedi, davanti a "na tazzulella è café".

« Sul becco io ci metto questo "coppitello" di carta... il fumo denso del primo caffè che scorre, che è poi il più carico non si disperde. Come pure ... prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre quattro minuti, per lo meno ... nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata ... in modo che, nel momento della colata, l'acqua in pieno calore già si aromatizza per conto suo. »
(Dal film “Questi fantasmi” – Eduardo de Filippo)

Tradizione culinaria. Mozzarella di Bufala


La mozzarella di bufala campana è un formaggio fresco a pasta filata prodotto con latte di bufala, a differenza del fiordilatte che è prodotto con latte di mucca. Può avere forma tondeggiante, ma anche a bocconcini, nodini, trecce. Il peso deve andare da 20 a 800 g, la crosta deve essere bianca porcellana molto sottile con superficie liscia e lucente. La pasta deve avere struttura a foglie sottili, al taglio deve essere priva di occhiature e deve presentare una lieve sierosità, ovvero una lieve fuoriuscita di siero.
Il grande problema di questo formaggio non è tanto nell'apporto calorico in sè, ma la sua grande appetibilità unita allo scarso indice di sazietà che rende difficile non esagerare.
Una mozzarella da 250 g contiene più di 700 kcal e non consente di sfamarsi. Per questo motivo deve essere consumata saltuariamente e non può costituire una valida scelta quotidiana in una alimentazione corretta.

Produzione

Il latte delle bufale appena munto viene scaldato e addizionato di fermenti lattici e caglio liquido.
Una volta formata la cagliata viene lasciata riposare un'ora, poi viene ridotta in grani della dimensione di una nocciola e fatta riposare per 4 ore, tempo necessario per la fermentazione. La cagliata viene poi messa in grandi tinozze di legno e addizionata con una quantità di acqua bollente (80-90 gradi), pari al peso della cagliata stessa. L'acqua bollente provocherà lo scioglimento della massa, che verrà poi raccolta e mozzata a mano o con appositi macchinari e messa a riposare in acqua fredda.
Infine le singole mozzarelle verranno immerse in una salamoia per un periodo di tempo variabile a seconda della sapidità desiderata.

Tradizione Culinaria. Il Babà



Ingredienti:

350gr.di farina

250gr.di burro,

2 cucchiai di zucchero,

5 uova,

1 lievito di birra,

sale, panna. zucchero e rhum.
PREPARAZIONE:
Dopo aver sciolto il lievito aggiungetevi della farina e lasciate lievitare per circa un'ora. Una volta che il suo volume e' aumentato, unite con il resto della farina aggiungendovi sale, le uova ed il burro sbattendo finche' non si stacchera' dal contenitore. Adagiatelo nello stampo che avete precedentemente unto con burro. Lasciate lievitare in un luogo asciutto quindi inseritelo nel forno gia' caldo per una ventina di minuti. Intanto preparate il composto per bagnare il baba' mescolando zucchero e rhum in acqua calda che, terminata la cottura, verserete sul dolce. Infine guarnite con la panna.

Tradizione Culinaria. Polipetti Affogati

Ingredienti:
1,5kg. di polpi,
800gr. di pomodori pelati,
aglio, olio, aromi vari.
Preparazione:
In un contenitore mettete i polipetti preferibilmente ancora vivi. Nella fase iniziale della cottura aggiungete i pomodori, l'olio, aglio e sale avendo cura di coprire la pentola e cuocere a fuoco lento. Quando e' diventata densa e scura, aggiungere del prezzemolo tagliato finemente e continuate la cottura per almeno altri 15 minuti.

Tradizione Culinaria. La Pastiera napoletana

Ingredienti:
Per la pasta:
-350g di farina
-150g di strutto
-150g di zucchero
-4 uova
-zucchero vanigliato
-sale q.b.
Per il ripieno:
-500g di ricotta
-400g di zucchero
-250g di grano
-2l di latte
-200g di cedro candito
-50g di burro
-6 uova
-la scorza di un limone
-cannella in polvere
-1 bottiglietta di acqua di fiori di arancio
-sale q.b.
Preparazione:
Tenere a mollo il grano in acqua per due o tre giorni, quindi scolarlo in una casseruola, coprirlo nuovamente con acqua e lessarlo per circa 1ora.
Preparate intanto la pasta frolla: impastate sulla spianatoia la farina con lo zucchero, lo strutto, 3 tuorli ed un pizzico di sale. Lavorare la pasta quel tanto che basta a renderla ben omogenea, quindi fatela riposare in un luogo fesco e asciutto.
Fatto ciò preparare il ripieno: scolate il grano dall’acqua di cottura, rimettetelo nella casseruola, versatevi sopra il latte e aggiungete due scorzette di limone, un pizzico di cannella, 1/2 cucchiaio di zucchero, un pizzico di sale e cuocere a fuoco moderato fino a completa riduzione del latte. A questo punto togliete dal fuoco e lasciate raffreddare. Riunire poi in una terrina il grano (eliminando le scorzette), la ricotta passata al setaccio, il rimanente zucchero, la rimanente scorza di limone grattugiata, il cedro a dadini, la cannella e l’acqua di fiori d’arancio.
Legare il tutto ai tuorli e con 4 albumi che avrete precedentemente montati a neve.
Stendete la pasta in una teglia e versatevi il ripieno. Con la pasta avanzata ricavate delle strisce da disporre sulla superficie, come decorazione.
Cuocete a forno preriscaldato fin quando la pasta non sarà ben dorata.
Lasciatela raffreddare e cospargetela di zucchero a velo.
Vino da abbinare: Gocce d'ambra oppure un limoncello.

Leggende del Borgo. Il mito dell'Uovo


Castel dell'Ovo ha una lunga storia che risale ai tempi del ducato napoletano. Il suo nome è legato ad una delle più fantasiose leggende napoletane, di origine medioevale, secondo la quale Virgilio, il grande poeta latino, vi avrebbe nascosto all'interno un uovo incantato chiuso in una gabbia.
Il luogo ove era conservato l'uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da "quell'ovo pendevano tutti li facti e la fortuna del Castel Marino".
Si cominciò a credere che finché l’uovo fosse rimasto integro la città e il castello sarebbero stati protetti da ogni tipo di calamità. Ma se qualcosa fosse accaduto all'uovo…guai a Napoli e a tutti i napoletani!

Da quel momento il destino del Castello e dell’intera città di Napoli è stato legato a quello dell’uovo. Le cronache riportano che, al tempo della regina Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo dell’arcone che unisce i due scogli sul quale esso è costruito. La Regina fu costretta a dichiarare solennemente di aver provveduto a sostituire l’uovo per evitare che in città si diffondesse il panico per timore di nuove e più gravi sciagure.

Storia. Il Castel dell'Ovo dal 1600 ad oggi


Il Periodo dei Viceré
Castel dell'Ovo, ristrutturato dal vicerè duca d'Alba nel 1663, riassunse le sue funzioni di prigione: vi fu incarcerato il filosofo Tommaso Campanella prima di essere condannato a morte. Durante i moti di Masaniello, gli Spagnoli bombardarono la città dai bastioni del castello.

La Repubblica Napoletana
Castel dell'Ovo, come gli altri forti della città, fu presente nei moti che portarono alla costituzione della Repubblica Napoletana del 1799: Francesi e rivoluzionari vi si asserragliarono, ma quando giunsero le truppe del cardinale Ruffo furono costretti a capitolare.

L’Ottocento
Sotto i re napoleonidi furono costruite casematte e piazzole per artiglieria e quando nel golfo di Napoli nel 1809 avvenne la battaglia navale tra la Marina Napoleonide e quella Anglo-Borbonica, il castello si dimostrò all'altezza della situazione. Dopo il loro ritorno definitivo, i Borbone fortificarono ancor più il Castello con batterie e due ponti levatoi; in seguito, il forte fu nuovamente adibito a prigione ed ebbe tra i reclusi Francesco De Sanctis, Carlo Poerio, Luigi Settembrini e altri protagonisti dei moti del 1848.

Il Novecento
All'inizio del ‘900 su questo isolotto sorsero alcuni celebri «Café Chantants», quali l’Eldorado e il Santa Lucia, ove si davano piacevoli spettacoli che duravano tutta la notte, cui intervenivano personaggi come Edoardo Scarfoglio, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Roberto Bracco.
Oggi il Castello è adibito a convegni e cerimonie d’alto livello. Possono essere visitate le due torri, denominate Normandia e Maestra, i resti della Chiesa di San Salvatore, una sala gotica coperta a volte, una loggia ogivale del '300 trasformata nell'800 in cappella, la Sala delle Colonne, i resti di un loggiato quattrocentesco, le celle dei monaci, il cosiddetto carcere della regina Giovanna ed il grande terrazzo panoramico con i cannoni spagnoli rivolti verso la città.

( fonte Il Brigantino, Il portale del Sud )

Tradizione Culinaria. Pasta alla puttanesca

Ingredienti per 6 persone:
- 500 gr di pomodori pelati o freschi
- 3 spicchi d'aglio
- 1 dl e 1/2 di olio d'oliva
- origano
- pepe
- un pezzetto di peperoncino forte
- 50 g di capperi
- 100 g di olive nere di Gaeta
- abbondante prezzemolo
- sale q.b.
- 600 g di vermicelli o linguine sottili
Preparazione:
Fate rosolare l'aglio nell'olio, quando questo sarà imbiondito unitevi i capperi, le olive snocciolate e i pomodori pelati, il peperoncino e l'origano. A cottura ultimata completate la salsa con il prezzemolo tritato e le acciughe lavate, spinate e tagliate a pezzettini, lasciate ancora un minuto sul fuoco e quindi aggiustate di sale. Lessate la pasta e quindi conditela.
Vino da abbinare: Il Falerno

Leggende del borgo. Il mito della sirena Partenope


Il Borgo Marinari è un luogo di leggende in cui è custodita l’essenza della città di Napoli ed i segreti che ad essa appartengono. Un’antica tradizione risalente al popolo dei Rodii, narra che proprio sull’isolotto di Megaride giunse il corpo senza vita della sirena Partenope, spintasi al suicidio in seguito al rifiuto dell’amato Ulisse.

“Gli scogli delle Sirene, delle quali si parla anche nell’Odissea, sarebbero, secondo la leggenda, quelli di fronte Positano oggi chiamati “Li Galli”, il cui primitivo nome era Sirenusse. Così le origini di Napoli si intrecciano con la storia, la leggenda ed il mito di Ulisse, la terra Campana è indissolubilmente legata al nome di Omero, e dello stesso Ulisse, delle cui più memorabili avventure è stata teatro.
La Maga Circe aveva messo in guardia Ulisse contro il canto delle Sirene, ma se avesse voluto ascoltarle, avrebbe dovuto turare con la cera le orecchie dei suoi compagni e farsi legare all’albero maestro della nave. Nella luce abbagliante del mezzogiorno facevano sentire la loro melodiosa voce, nascondendo tra i fiori i resti dei marinai che non avevano resistito al loro richiamo lasciandosi morire sugli scogli. Seducendo non solo con il canto ammaliante ma anche con le parole, promisero ad Ulisse che avrebbero rivelato i segreti della conoscenza e di tutto quello che avviene in ogni tempo e luogo della terra, egli cercò di liberarsi ma i suoi compagni lo legarono più strettamente, così la nave passò oltre e si salvarono.
Le Sirene erano divine, ma non immortali, fallendo il loro potere di incantatrici nei confronti di Ulisse, si uccisero precipitandosi dagli scogli, queste erano le figlie nate dall’unione di Acheloo, divinità fluviale, con una delle Muse: Leucosia (la bianca), Parthenope (la vergine) e Ligea (dalla voce chiara).
Il corpo di Parthenope fu portato dalle correnti marine tra gli scogli di Megaride, e lì gli abitanti trovarono la dea, con gli occhi chiusi nel bianco del viso e i lunghi capelli che ondeggiavano nell’acqua. Venne posta in un grandioso sepolcro, diede nome al villaggio di pescatori e divenne la protettrice del luogo, venerata dal popolo e onorata con sacrifici e fiaccolate sul mare. Non si sa dove possa essere la sua tomba, (vera o leggendaria), studiosi, archeologi hanno creduto di localizzarla sulla collina di Sant’Aniello a Caponapoli, sotto le fondamenta della chiesa di Santa Lucia, costruita sul tempio dedicato a Partenope, sull’isolotto di Megaride, nel sotterraneo di Castel dell’Ovo. Megaride è un luogo incantato della città dove confluisce la storia, il mito, il primo approdo dei Greci e del ritrovamento del corpo della dea, che continua con la leggenda del mago poeta Virgilio….dove collocherà qui le sue ossa.”

(Da “La sirena Parthenope” di Ciro La Rosa. www.ilportaledelsud.org)

Storia. Il Castel dell'Ovo dal 700 al 1600


Napoli ducale

Durante il periodo del ducato elettivo, l’isolotto di Megaride fu fortificato dai napoletani per far fronte ai pericoli di invasione. I Mussulmani nel corso del ‘700 avevano conquistato la Sicilia e quasi tutta la Spagna, ed il Mediterraneo era diventato pericoloso per i continui scontri.

Il castello normanno
Con la venuta dei Normanni, l'antico fortilizio venne completamente ricostruito, e re Ruggiero II vi riunì per la prima volta nel 1139 il suo parlamento. L’amministrazione normanna determinò per Napoli due direttrici di sviluppo, di comunicazioni e di commercio: una verso il mare, e l'altra verso l'entroterra, con Castelcapuano. Con il completamento di quest'ultimo, il Castel dell'Ovo fu abitato solo saltuariamente.

La ricostruzione aragonese
Durante il XIV secolo, il castello fu danneggiato a seguito della guerra tra Carlo III e Giovanna I. Seguirono all’inizio del ‘400 le lotte tra Aragonesi e Angioini, ed il castello fu preda ora dell'uno ora dell'altro partito. Con la vittoria di Alfonso il Magnanimo, venne ricostruito, ed il re lo inaugurò solennemente il 6 maggio del 1456. Alfonso, quando si sentì prossimo alla fine, volle farsi trasferire a Castel dell’Ovo, e fu lì che raccomandò all'erede, Ferrante, di puntare soprattutto alla pace per il suo popolo. Re Alfonso fu sepolto temporaneamente nel castello, poi il corpo fu trasportato in Catalogna, come disposto in precedenza.

( fonte Il Brigantino, Il portale del Sud )

Come nasce la tradizione culinaria del Borgo

Oggi ci sono rinomati ed eleganti ristoranti che offrono il meglio della cucina classica napoletana, ma prima, a deliziare i palati dei marinai e dei turisti, erano le numerose bancarelle che sul bagnasciuga di S. Lucia, vendevano taralli, pesce fritto, "o ddoje c'a salsa" ovvero piccolo piatto di vermicelli da mangiare in piedi rapidamente. Con il tempo le bancarelle si trasformano in trattorie, e poi in ristoranti divenuti famosi in tutto il mondo.

Cibo e celebrità

I ristoranti del Borgo Marinari possono vantare la presenza di personaggi dell'arte, dello spettacolo, della cultura, della politica. Tra di loro ci sono stati anche il principe De Curtis in arte Totò e l'altro "principe della risata" Eduardo, le più grandi voci da Caruso a Pavarotti, i poeti Di Giacomo e Moravia, la stupenda Sophia Loren e i loro sono solo alcuni dei celebri autografi custoditi nei libri delle firme.